La missione della Global Sumud Flotilla verso Gaza si incrina: venti attivisti, molti italiani, abbandonano. Mediazioni in corso.
Dopo aver rifiutato l’appello del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, la Global Sumud Flotilla si trova ora in una fase di forte instabilità. A cinque giorni dall’arrivo previsto davanti alla Striscia di Gaza, venti persone -metà delle quali italiane – hanno deciso di abbandonare la missione. Le ragioni spaziano dalla stanchezza alla paura, passando per il disaccordo con le decisioni del direttivo. Ecco, a seguire, cosa sta succedendo.

Flotilla, il rientro della portavoce italiana e la possibile mediazione via Egitto
Una delle portavoci italiane della delegazione, Maria Elena Delia, sta tornando in Italia. Secondo alcuni attivisti, come riportato da Open, la docente – già prossima alla fine della sua aspettativa – è rientrata anche per esplorare una possibile soluzione diplomatica.
Si parla di incontri alla Farnesina e di interlocuzioni con la Cei. Tra le ipotesi sul tavolo, c’è quella di uno sbarco dei carichi umanitari a Port Said, in Egitto, con successivo trasferimento via terra al valico di Rafah.
Nel frattempo, alcuni parlamentari italiani presenti sulle navi – Arturo Scotto, Annalisa Corrado, Marco Croatti e Benedetta Scuderi – stanno lavorando per una soluzione diplomatica che eviti la sfida finale con le navi militari di Tel Aviv.
Secondo quanto detto da Open, esisterebbe anche un piano B: lo sbarco a Cipro come ultima tappa. Anche se Scuderi precisa che “ad oggi non c’è intenzione di sbarcare“. Il rischio di un disimpegno è alto, anche per via dell’attenzione mediatica che la missione ha ormai suscitato.
Israele: il blocco navale sotto accusa
Sul piano legale, gli attivisti della Flotilla sostengono con forza la legittimità della loro missione. “Se ragioniamo in termini di diritto internazionale, la Flotilla non commetterebbe nessun illecito nel portare gli aiuti perché è il blocco navale a essere illegittimo“, afferma Francesca De Vittor, docente di diritto internazionale presso l’Università Cattolica.
Secondo l’esperta a La Stampa, le acque antistanti Gaza non possono essere considerate israeliane, e impedire l’ingresso di aiuti umanitari costituisce una violazione del diritto internazionale umanitario. La docente sottolinea che, in caso di attacco a una nave italiana, l’Italia avrebbe il diritto di difendere i propri cittadini anche con l’uso della forza, come ad esempio abbattere droni ostili. “Saremmo nel campo della protezione della vita delle persone: una reazione non solo giustificata ma doverosa“, concude.